Pace

2. L'approccio moreniano

2.1. Il valore del gruppo

Già nel 1913 Moreno, allora studente di filosofia, sperimentava il valore del gruppo, incontrando insieme al medico W. Green e al giornalista Colbert gruppi di prostitute del quartiere Am Spittelberg di Vienna.
Egli individuava, a partire da questa prima esperienza, alcuni aspetti dell'intervento di gruppo che, a mio avviso, sono fondamentali sia nell'attività di formazione che di terapia.
· L'autonomia del gruppo, autonomia contrapposta alla dipendenza dal conduttore. Un processo di formazione o di terapia non può dirsi compiuto se non è avvenuto un cammino di autonomia del gruppo e del singolo, che lo porta alla presa di coscienza delle sue risorse e possibilità di cambiamento.
· L'esistenza di una struttura del gruppo e la conseguente necessità di conoscerla. Un intervento di gruppo non può prescindere dall'analisi delle reti di relazione esistenti nel gruppo stesso. Il processo formativo o terapeutico farà leva sulla possibilità di cambiamento di tale struttura di relazione.
· Il problema della collettività: schemi di comportamento, ruoli e determinanti socioculturali influenzano la situazione indipendentemente dalle caratteristiche dei singoli individui. L'intervento di gruppo non si rivolge solo alle persone, in quanto portatrici di specifiche strutture di personalità, ma si occupa altresì delle persone in rapporto al ruolo che esse esercitano in un determinato contesto sociale.
· Nel gruppo c'è tendenza verso l'anonimato dei partecipanti, i confini tra i vari Io diventano più tenui, è il gruppo stesso che, nella sua globalità, diventa il più importante. L'intervento non è finalizzato solo a produrre un benessere psichico nelle singole persone, ma intende produrre nelle persone un apprendimento a relazionarsi in modo più adeguato con gli altri importanti del proprio contesto sociale. Questo apprendimento non può avvenire che in un ambito di gruppo, nel quale si attenua l'Io e si evidenzia l'importanza della relazione, delle identificazioni e dell'incontro con l'altro.

2.2. L'Incontro e il Tele

'Tele' è un vocabolo greco e significa: lontano, a distanza. Esso indica nel linguaggio moreniano la corrente affettiva che lega in modo reciproco una persona ad un'altra.
Possiamo meglio comprendere questo concetto se lo differenziamo da due altri termini noti in ambito psicologico: l' empatia ed il transfert. L'empatia indica una qualità individuale, che facilita la percezione e la condivisione di ciò che un altro essere umano sta provando in un dato momento: è pertanto un processo unidirezionale. Il tele è invece un fenomeno bidirezionale che, in parole diverse, potremmo esprimere come empatia reciproca o comunicazione emotiva a doppia via. Il transfert, d'altro lato, indica la proiezione di fantasie inconsce su un'altra persona e rivela un ritorno delle esperienze passate sulla relazione attuale. Da un punto di vista genetico il transfert si sviluppa dopo il tele e si struttura come modalità relazionale sostitutiva, in seguito al fallimento di esperienze relazionali reciproche soddisfacenti. Il tele, viceversa, è una modalità di funzionamento primaria, non appresa, potenzialmente sempre attiva, educabile e passibile di sviluppo nelle relazioni sociali.

2.3 L'apprendimento della spontaneità

Fin dai suoi primi scritti, Moreno si è occupato della spontaneità e del suo rapporto con la creatività. Il concetto di spontaneità è fondamentale in ambito clinico; il grado di spontaneità di un paziente nel rapporto con gli altri è uno degli indici più significativi della sua salute mentale. La mancanza di spontaneità è segnalata dall'ansia e/o da un comportamento rigido e stereotipato. Apprendere la spontaneità nei rapporti interpersonali significa apprendere a rispondere in modo sintonico alle esigenze dell'ambiente (senza distorcerne le richieste e la realtà) e alle proprie esigenze interne (senza stereotipie difensive e facendo emergere i veri bisogni e le autentiche emozioni). Può essere utile ricordare, d'altra parte, che il concetto di spontaneità non è stato utilizzato da Moreno solo in riferimento ai fenomeni psicopatologici. Anzi, l'interesse per la spontaneità è stato suscitato dall'osservazione dell'attore sulla scena ed è stato ulteriormente elaborato in molteplici situazioni che miravano ad "addestrare" l'attore, la singola persona ed il gruppo ad agire nuovi ruoli. Evidente è l'utilità di questo concetto nella formazione, ove si tratta di dotare l'operatore, oltre che delle necessarie competenze teoriche e tecniche, anche della capacità di adattarsi in modo flessibile alla varietà delle persone e delle situazioni professionali con le quali viene a contatto. Moreno verifica che, nello sviluppo della spontaneità, ha un ruolo centrale l'azione, l'interpretazione scenica improvvisata. Nell'ipotizzare due canali diversificati di funzionamento della memoria (il centro dell'azione e il centro del contenuto) Moreno sottolinea come l'apprendimento della spontaneità richieda un contesto di azione per essere efficace. Solo in tal modo contenuti ed azioni possono trovare sintesi nella capacità di realizzare ruoli e comportamenti spontanei.

2.4. Spontaneità e controllo

La dinamica spontaneità/controllo fa necessariamente parte del lavoro psicodrammatico. Solo una visione ingenua dell'intervento psicodrammatico può considerare la dimensione spontaneità come autenticamente vera e la dimensione controllo come una semplice limitazione. A tal riguardo così si esprime Moreno:

"Lo psicodramma è tanto un metodo di educazione all'autocontrollo quanto un metodo di espressione libera. Il carattere repressivo della nostra cultura ha finito per dare alla "espressione per se stessa" un valore spesso esagerato. Metodi come l'inversione di ruolo, o la rappresentazione di ruoli, in quanto richiedono una limitazione, un riaddestramento e/o un ricondizionamento dell'eccitabilità, costituiscono un'applicazione dello psicodramma assai sottovalutata e trascurata. Soprattutto l'interpolazione di barriere (interpolation of resistences) consente all'io di acquisire sempre più controllo nei confronti di un'emozione che viene più volte messa in scena nello psicodramma". (Moreno, 1987).

Moreno si riferisce alla spontaneità in stretta relazione al concetto di creatività, tant'è che individua il fattore S-C (spontaneità-creatività) come elemento chiave nell'espansione dell'individuo e della relazione con l'altro. L'interesse per la spontaneità in Moreno è strumentale rispetto al tema dello sviluppo della creatività, dell'atto creativo. Pertanto, centrare l'attenzione solo sullo sviluppo della spontaneità (o sullo "stato di spontaneità") senza mantenere il collegamento con l'altro polo del fattore S-C, la creatività appunto, rischia di sminuire la funzione dell'atto spontaneo (che verrebbe visto come buono "in sé", indipendentemente dal contesto), privandolo della sua finalizzazione creativa. A questo riguardo, sia in formazione che in terapia uno degli obiettivi principali non è lo sviluppo della spontaneità, quanto la capacità di realizzare atti creativi, di assumere ruoli nuovi creativamente e di superare/trasformare in modo creativo i ruoli personali, sociali e lavorativi inadeguati e/o stereotipati.

2.5 - Ruoli psicodrammatici e ruoli sociodrammatici

Nella visione psicodrammatica è fondamentale la distinzione tra ruoli psicodrammatici e ruoli sociali. Si definisce ruolo sociale ogni ruolo esperito in condizioni di realtà, ove un ruolo interagisce con un controruolo, che esiste come dato di realtà, indipendentemente dai desideri e dalle intenzioni del soggetto. Nella vita di tutti i giorni ognuno vive relazioni sociali, confrontandosi con controruoli proposti dall'altro ed essendo ognuno controruolo per l'altro. La dinamica ruolo/controruolo può essere cristallizzata oppure aperta ad evoluzioni creative. Si tratta sempre di modificazioni che l'interazione può produrre, ma il controruolo non può essere modificato a piacimento dal desiderio; resta, anche nelle sue evoluzioni interattive, un dato di realtà indipendente. Il ruolo psicodrammatico invece è un ruolo che può essere creato a piacimento nella situazione di semi-realtà della scena psicodrammatica. In tale contesto i controruoli possono essere modificati, trasformati, deformati in base al mondo interno del protagonista. Sta in questa possibilità del setting teatrale la ricchezza del metodo psicodrammatico. Nel regno dei ruoli psicodrammatici (o del gioco psicodrammatico) la situazione è fittizia, ma l'emozione è vera. In tal modo possono essere esplorati, elaborati e ricreati tutti i ruoli possibili dell'individuo. Quando si opera nell'ambito formativo si deve restringere il numero dei ruoli sociali da esplorare al repertorio dei ruoli professionali. Includiamo in questa categoria non solo i ruoli lavorativi in senso stretto (medico, assistente sociale ecc.) ma anche i ruoli connessi ai ruoli lavorativi (collega, dirigente ecc.) ed i ruoli di cura od educativi (es. volontario, genitore). Proprio per distinguere la peculiarità dell'intervento formativo da quello della terapia, è utile definire tali ruoli come ruoli sociodrammatici. I ruoli psicodrammatici esprimono tutta la gamma dei ruoli interni dell'individuo, nel loro esternarsi sulla scena nello spazio di semi-realtà. I ruoli sociodrammatici esprimono le risonanze individuali del mondo socio/professionale, o di uno specifico gruppo sociale, nel loro esternarsi sulla scena nello spazio di semi-realtà.

I ruoli che rappresentano idee ed esperienze collettive sono chiamati ruoli sociodrammatici; quelli che rappresentano idee ed esperienze individuali sono chiamati ruoli psicodrammatici. Noi sappiamo, tuttavia, che queste due forme di gioco di ruolo non possono mai essere realmente separate...Perciò gli spettatori dello psicodramma sono influenzati contemporaneamente da due fenomeni: una madre e un figlio come problema personale, e il rapporto madre-figlio come modello ideale di comportamento. (Moreno, 1985)


2.6 - Centralità dell'azione

Questo aspetto è connesso in modo indissolubile al metodo, tant'è che, in assenza di azione, non si può parlare di psicodramma. Centralità dell'azione non significa necessariamente che le persone devono muoversi, correre, drammatizzare o scomporsi, ma implica un atteggiamento nei confronti delle esperienze e dei contenuti che privilegia l'esserci rispetto al racconto. L'azione diventa elemento fondante e precursore del cambiamento, della relazione e dell'apprendimento. Questa concezione operativa delle relazioni e del gruppo può essere ben compresa se prendiamo ad esempio il rapporto fra spontaneità ed ansia. Di fronte ad una persona poco spontanea in un gruppo, il conduttore A potrebbe pensare: "Francesca non riesce ad essere spontanea perché è in ansia". In buona sostanza questa affermazione implica che l'ansia di Francesca determina o limita la sua azione. Di fronte alla stessa persona, il conduttore B (psicodrammatista) pensa: "Francesca è in ansia perché non è spontanea". In altre parole, poiché ansia e spontaneità sono incompatibili, se io favorisco ruoli o comportamenti spontanei nei singoli e nel gruppo, attraverso attività specifiche, l'ansia decresce e scompare.

2.7 La teoria del ruolo

Il ruolo è la forma operativa che un individuo assume quando entra in relazione con un altro essere o con un oggetto. Il ruolo è quindi qualcosa di percepibile, elemento di dialogo costante tra il mondo interno della persona e la realtà. Costituisce altresì un vincolo, un riferimento, un aggancio, che dà forma e struttura alla dinamica della spontaneità e della creatività. Senza la traduzione operativa in un ruolo, il fattore s-c (spontaneità - creatività) resterebbe una forza sterile o un ruolo mai nato, chiuso nelle segrete dell'individuo. Si comprende così come la centratura sul ruolo sia un elemento che orienta l'attività psicodrammatica, riconducendo alla'analisi di realtà i rischi di interpretazione metapsicologica del comportamento del singolo o dei gruppi. In altre parole, se la dinamica spontaneità-creatività rivela un processo psicologico fondamentale dal punto di vista dell'individuo, la costruzione del ruolo indica una dinamica relazionale o sociale, introducendo la necessità di una interdipendenza. Infatti il ruolo si struttura in rapporto ad un ruolo complementare (controruolo) dal quale viene influenzato e su quale può incidere. Questo concetto implica necessariamente la nozione di corresponsabilità nel cambiamento sociale ed organizzativo.


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2000-2013 Luigi Dotti